L’INQUINAMENTO ACUSTICO DANNEGGIA GLI UCCELLI

L’inquinamento acustico delle nostre città, ma anche solo il rumore del traffico nelle aree extraurbane, ha delle conseguenze tanto inaspettate quanto terribili sulla vita degli uccelli.

A sostegno di ciò, è stata pubblicata, sulla rivista Proceedings of the Royal Society B, una ricerca che ha documentato come il rumore del traffico possa compromettere le capacità naturali degli animali.

Lo studio è stato condotto dalla Pacific Univerity in Oregon, guidato dal professore Christopher Templeton che ha verificato in laboratorio il comportamento dei fringuelli zebrati, mentre una registrazione di rumore del traffico stradale veniva riprodotta. In particolare questi esemplari sono stati sottoposti ad alcuni esercizi basati su “compiti di foraggiamento”, ovvero la ricerca del cibo, in assenza o in presenza di rumore antropogenico in sottofondo.

Un compito consisteva nel recuperare il cibo da sotto coperchi simili a foglie, che gli uccelli dovevano capovolgere per rivelare la ricompensa, mentre, in un altro test, essi dovevano trovare il modo di entrare in un cilindro che aveva un pezzo di cibo all’interno. I fringuelli hanno dimostrato il doppio delle probabilità di portare a termine i compiti di foraggiamento correttamente in assenza di rumore del traffico.

In conclusione ci sono sempre più evidenze che il rumore antropogenico abbia una varietà di effetti negativi sulla fauna selvatica. Per esempio, un altro studio ha scoperto che gli uccelli hanno effettivamente cambiato il proprio canto durante il periodo relativamente silenzioso del lock-down. È noto che gli uccelli che vivono nelle città hanno dovuto adattare i loro canti al rumore di fondo, fenomeno conosciuto scientificamente come “effetto Lombard”.

Quando si riduce l’inquinamento acustico, invece, c’è un beneficio quasi immediato sul comportamento della fauna selvatica.

Proteggere gli ambienti naturali da questo fenomeno, dicono gli scienziati, sarà una sfida da affrontare per la salvaguardia della biodiversità.

By SofiWLP

SANTUARI DELL’ORRORE IN SUDAFRICA: IL SOTTILE CONFINE FRA UNA CAREZZA E UN FUCILE

Durante i viaggi in posti esotici e tropicali capita di imbattersi in straordinari santuari che offrono esperienze di interazione diretta con gli animali selvatici in cattività. Quello che però molti non sanno è che queste oasi si servono impropriamente del nome di “santuario” quando non hanno per niente a che fare con un’area naturale di protezione e conservazione.

Il loro nome può, dunque, essere modificato in “falsi santuari”: si spacciano per centri di recupero, ma in realtà sono strutture in cui gli animali vengono allevati e utilizzati per scopi commerciali e turistici.

I veri centri di conservazione che operano in linea con i principi etici mettono, invece, sempre i bisogni degli animali prima dei desideri del pubblico pagante.

Famosi sono i falsi santuari in Sudafrica che offrono agli ingenui visitatori la possibilità di allattare col biberon o coccolare i cuccioli di leone e di fare emozionanti passeggiate fianco a fianco con i leoni adulti (le cosiddette “lion walks”), facendo credere loro che queste siano forme d’amore utile al benessere degli animali.

Migliaia di turisti ignari pagano enormi somme pensando di aiutare a riabilitare gli animali selvatici o semplicemente di interagire con essi, non consapevoli che i loro soldi contribuiscono allo sfruttamento fraudolento di questi esemplari.

Questi leoni vengono abituati all’uomo fin dalla nascita; spacciati per orfani, i cuccioli vengono, invece, strappati dalle proprie madri, sedate subito dopo il parto, il che provoca uno stress estremo da entrambe le parti.

Le leonesse vengono usate per la riproduzione a ritmi 10 volte superiori a quelli naturali, e quando non servono più, vengono portate, insieme ai maschi, nelle riserve private destinate al Canned Hunting.

La Canned Hunting, letteralmente “caccia in scatola” è una vera e propria caccia al trofeo organizzata artificialmente in modo non equo per le due parti, essendo il cacciatore in netto vantaggio rispetto all’animale.

E qui si chiude il cerchio che racconta la terribile sorte di questi esemplari: i leoni non distinguono un biberon da un fucile e si fidano quasi ciecamente dell’uomo dal quale sono stati coccolati fino al giorno prima. Ora però, i ricchi turisti non pagano per accarezzarli o allattarli, bensì per ucciderli e portarsi a casa il trofeo.

Si stima che solo in Sudafrica, ogni anno, dagli 8000 ai 15000 leoni siano allevati nei falsi santuari, attualmente circa 250, per essere poi venduti alle riserve private, dove saranno uccisi in operazioni di caccia al trofeo.

Bisogna ricordare, infine, che un animale selvatico, al contrario del cane per esempio, non si è co-evoluto con l’essere umano e non ha, dunque, innata la predisposizione a interagire con noi: l’interazione è qualcosa di innaturale e insano e pertanto considerata abuso.

By CriWLP




IL RAPPORTO SPECIALE FRA I RINOCERONTI E LE BUFAGHE

I rinoceronti sono mammiferi erbivori di grossa taglia che oggi sono purtroppo a serio rischio d’estinzione a causa principalmente del bracconaggio illegale. Una sottospecie in particolare stato critico, i cui esemplari si sono addirittura già estinti in alcune regioni, è il rinoceronte nero, originario delle aree orientali e centrali dell’Africa. Così denominato nonostante la sua ruvida pelle non sia nera bensì di colore grigio, il rinoceronte nero è stato ultimamente molto decimato nei suoi esemplari dai cacciatori di frodo.

Un recente studio del ricercatore Roan Plotz, pubblicato questa primavera sulla famosa rivista Current Biology, potrà, però, strapparvi un sorriso e portare un po’ di speranza nei cuori di coloro che tengono particolarmente alla salvaguardia degli animali selvatici.

Plotz, studiando i rinoceronti neri in Sudafrica ha notato che quelli abbastanza vicini a lui da essere osservati, generalmente, non avevano nessuna bufaga sul dorso, dove spesso esse stanno per cibarsi.

Le bufaghe sono uccelli passeriformi di taglia medio – piccola caratterizzati da un becco giallo con la punta rossa; esse si nutrono di zecche, pidocchi e altri parassiti presenti sulla pelle dei grandi mammiferi come il rinoceronte o il bufalo.

Lo studio di Plotz è stato incentrato sul rapporto rinoceronte – bufaghe e ha avuto come conclusione la scoperta di un legame basato sulla cooperazione, seppur forse involontaria, fra i due animali.

Si è, quindi, individuato che le bufaghe servono ai rinoceronti come sentinelle: li aiutano a evitare gli esseri umani, e potenzialmente i bracconieri, trasmettendo cinguettii come campanello d’allarme quando li intravedono. Questi uccelli hanno, infatti, una vista molto buona, a differenza dei grandi mammiferi sul cui dorso sono ospitati.

Dallo studio è emerso che per rilevare la presenza umana, avere più uccelli “a bordo” sembrava essere un vantaggio per i rinoceronti. Plotz e i suoi colleghi hanno svolto numerosissime prove e scoperto che ogni uccello aggiuntivo situato sull’animale era associato al percepire la presenza umana a 10 metri di distanza in media.

Quando, al termine, i ricercatori hanno fatto un’analisi matematica di tutta la loro ricerca, hanno concluso che le bufaghe riducevano le probabilità umane di avvistare un rinoceronte di una percentuale compresa tra 40 e 50%. 

Le scoperte della ricerca mostrano, quindi, che la relazione rinoceronte – bufaghe è più complessa di quanto si pensasse in precedenza, dice Plotz.

Ciò che porterebbe speranza è il fatto che ci potrebbero anche essere delle implicazioni nella conservazione della specie di mammiferi, ovvero l’introduzione di più uccelli in un’area impoverita di esemplari di rinoceronti potrebbe aiutarli a evitare maggiormente il bracconaggio. 

Non vi è la certezza che gli uccelli sappiano di star avvertendo i rinoceronti, e anche possibile che stiano semplicemente segnalando la presenza di un potenziale predatore alle altre bufaghe. Non c’è pertanto alcuna prova del fatto che questi uccelli avvertano intenzionalmente i rinoceronti, ma ciò comunque non sminuisce l’entità e la rilevanza della ricerca.

Per concludere, è curioso soffermarsi sul nome in Swahili delle bufaghe, ovvero “Askari wa kifaru”, che si traduce in “guardia del rinoceronte”: grazie alle ricerche e agli studi degli zoologi abbiamo, quindi, scoperto la concreta importanza per i rinoceronti del lavoro da sentinelle svolto dalle piccole bufaghe!

By CriWLP

IL LUPO NEL PARCO DEL TICINO E IN ITALIA

In Italia il monitoraggio del lupo, in quanto specie inserita tra quelle di interesse comunitario, è previsto dal vigente quadro normativo, ma è la prima volta che le istituzioni nazionali uniscono le loro forze per perlustrare, da qui a marzo 2021, percorsi prestabiliti in spazi naturali a diverse quote sull’intero territorio nazionale, utilizzando i disegni di campionamento e i protocolli standardizzati messi a punto dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). 

Ed è proprio di questo che si sta occupando il Parco del Ticino che, insieme al guardiaparco e al personale dell’area protetta e ai volontari e ricercatori dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e dell’Università di Pavia, ha il compito di aggiornare la presenza del lupo in questa zona, tramite l’utilizzo di fotografie, e, di conseguenza, della distribuzione di questa specie in Italia. 

«I piani di monitoraggio costituiscono uno strumento essenziale per valutare l’evoluzione dello stato di conservazione o di espansione di una specie – spiega il consigliere del Parco Francesca Monno – e quello della presenza del lupo nella nostra area protetta è già in corso da alcuni anni, con lo scopo di valutare la funzionalità del bacino del Ticino come corridoio ecologico (via di transito) tra le Alpi e l’Appennino. Non va dimenticato, peraltro, che il lupo resta il principale alleato dell’uomo nel contrasto alla presenza del cinghiale, pezzo forte della sua dieta nei Paesi dell’area mediterranea, e che le mutate condizioni ambientali e sociali rendono oggi del tutto ingiustificata e anacronistica l’ipotesi di situazioni di pericolo per l’uomo». 

Nel Parco il lupo è stato segnalato nel 2012 e poi nel 2017. Al momento si tratta di segnalazioni di rari esemplari in dispersione, ma resta il fatto che la loro presenza conferma il ruolo di corridoio ecologico dei boschi perifluviali della Valle del Ticino, caratterizzati da livelli di naturalità tali da consentire a un grande predatore come il lupo di utilizzarle nella fase di dispersione, trovando una via di congiunzione fra le popolazioni dell’Appennino e quelle delle Alpi.

By SofiWLP

IL BRACCONAGGIO DELLA SELVAGGINA IN CONGO

Nonostante l’alto rischio di malattie, i mercati Sudafricani sono tuttora colmi di carne di animali selvatici fra cui antilopi, porcospini, scimmie e pangolini e la richiesta di questa selvaggina aumenta in modo cospicuo, sebbene vi sia in atto una pandemia mondiale causata proprio dall’ingestione della carne di un animale selvatico (il pipistrello).

Molte specie animali sono, quindi, a rischio estinzione non solo a causa dell’intensificarsi del bracconaggio e della deforestazione che rade al suolo interi habitat naturali, ma anche per la crescente richiesta di questi tipi di carne.

Secondo alcune stime, ogni anno 3 milioni di tonnellate di selvaggina vengono prelevati nelle foreste del Congo per alimentare il commercio illegale. Un altro quantitativo significativo viene consumato dai residenti nelle zone forestali e ancora di più nelle città, dove la carne è venduta nei mercati senza alcun controllo veterinario.

In queste condizioni sempre più promiscue in cui l’uomo è la principale causa di invasione, sfruttamento e deturpazione degli animali selvatici e dei loro habitat, il rischio di trasmissione di patologie si eleva maggiormente.

Del resto la storia ha già insegnato molto per quanto riguarda i virus in Africa: il virus dell’AIDS, ad esempio, sarebbe stato trasmesso col sangue dopo che un cacciatore si fosse ferito tagliando carne infetta nella foresta del bacino congolese, o l’Ebola, veicolato nei liquidi corporei.

Secondo le testimonianze degli antropologi i congolesi dicono di non avere paura di ammalarsi mangiando carne cacciata nella giungla, non credono che si possa innescare una grave trasmissione di malattie nonostante questa carne arrivi in città in modo informale, quasi illegale, e venga venduta senza controlli sanitari.

Il bracconaggio non risparmia nulla, nemmeno i grandi mammiferi protetti come gli elefanti, i rinoceronti e i rarissimi okapi, o le scimmie, la cui carne è molto richiesta.

Vi sono quindi delle specie animali in serio pericolo di estinzione a causa della caccia legale e illegale e il rischio di trasmissione di malattie dagli animali all’uomo, e viceversa, resta alto a causa della nuova promiscuità con specie con le quali prima entravamo raramente in contatto.

In Africa, negli ultimi 50 anni, gli animali selvatici sono diminuiti del 65% e solo in Congo ogni anno la carne di selvaggina consumata ammonta dai 5 ai 10 milioni di tonnellate.

Fra gli animali a rischio a causa di ciò, come accennato in precedenza, troviamo le antilopi, una sottofamiglia di bovidi, i pangolini, piccoli animali squamosi e corazzati, gli istrici, grossi roditori col corpo robusto e ricoperto da aculei, le scimmie, simpatici e noti primati, i coccodrilli, grandi rettili acquatici, gli okapi, giraffidi di medie dimensioni, e molti altri.

By CriWLP

NUOVI ARRIVATI NEL REGNO ANIMALE!

Luglio e agosto sono stati mesi propizi per il mondo animale, il quale ha dato il benvenuto a diverse specie in tutto il mondo: ecco alcuni esempi!

Per prima cosa un cucciolo (o meglio una cucciola!) di orgoglio tutto italiano è nato al Parco faunistico Le Cornelle di Valbrembo nel Bergamasco lo scorso 2 luglio. Si tratta di un esemplare femmina di pantera nera figlia della coppia di pantere adulte Richard (9 anni) e Kala (7 anni).

La cucciola pesa 3,2 kg, è in perfetta salute ed è costantemente monitorata dal team di veterinari del Parco. Ella, che non ha ancora un nome, è la sorellina minore di altre tre pantere nere: Leyla, Moon e King, nati rispettivamente nel 2017 e nel 2019.

La nuova arrivata rimarrà con la madre per circa due anni, poi verrà trasferita in un’altra struttura zoologica per poter creare la propria famiglia.

Restando nel medesimo parco faunistico, assistiamo, il primo e il 13 giugno, alla nascita di due cuccioli di Cobo Lichi, rispettivamente un maschio e una femmina.

Si tratta di antilopi di forme robuste con un mantello piuttosto lungo e grossolano dai toni giallo-rossastri di origine dell’Africa meridionale. I maschi si distinguono per la presenza di corna lunghe e sottili, mentre le femmine sfoggiano i colori del mantello.

Spostando il nostro sguardo un po’ più ad ovest ci soffermiamo sul Bioparco Zoom di Torino che giovedì 6 agosto ha dato il benvenuto al primo cucciolo di ippopotamo degli esemplari Ze Maria e Lisa. Questo si può considerare un evento straordinario dato che in Europa nascono solamente 10 ippopotami l’anno.

Le foto del cucciolo si sono diffuse sul web: pesa già 50 kg e dimostra tanta tenerezza quando si riposa sul dorso della mamma sulla superficie dell’acqua perché ancora incapace di stare in apnea per più di due minuti.

Per prendere il latte il piccolo si attacca alla mamma quando lei è in immersione, poppando sott’acqua per circa 20 secondi trattenendo il fiato con narici e orecchie chiuse.

A soli cinque giorni dalla nascita, ha già iniziato ad esplorare l’habitat da record che lo ospita, il primo al mondo che riproduce l’ecosistema del lago Malawi, una vasca all’aperto di oltre 180mila litri e due grandi vetrate dalle quali è possibile osservare gli ippopotami nuotare sott’acqua in mezzo a oltre 2 mila ciclidi, pesci tropicali tipici del lago africano.

Cambiando invece continente e approdando negli Usa possiamo assistere alla venuta al mondo di un panda gigante nello stato di Washington.

La mamma, Mei Xiang di 22 anni, ha partorito il cucciolo il 21 agosto ottenendo il primato di panda più anziano ad aver partorito negli Stati Uniti.

I “fan” del panda hanno potuto seguire l’evento del parto online grazie a una <<cam panda>> attiva 24 ore su 24.

Il piccolo ma gigante panda è in salute e la sua mamma si prende cura di lui amorevolmente allattandolo e dandogli attenzioni e coccole.

By CriWLP

186 GRAMMI DI DOLCEZZA!

Lo scorso 28 giugno lo zoo di Taipei, capitale di Taiwan, ha dato il benvenuto a una nuova cucciola di panda gigante, nata dalla mamma Yuan Yuan e dal padre Tuan Tuan, i cui nomi in cinese significano rispettivamente “incontro” e “unità”.

Ed è proprio grazie all’unità e all’impegno del team di zoologi e veterinari che ora la specie considerata “vulnerabile” dei panda giganti conta un nuovo esemplare!

Per il concepimento è stata effettuata un’inseminazione artificiale e a fine giugno dopo 5 ore di travaglio la madre è riuscita a dare alla luce una tenerissima cucciola di appena 186 grammi.

Nonostante Yuan Yuan, stremata dal lungo travaglio, si rifiuti di allattare la figlia, fortunatamente essa è in salute: dopo essere stata trattata per una lieve lesione alla schiena è stata portata in un’incubatrice ed è nutrita artificialmente tramite un piccolo biberon dai veterinari dello zoo.

La cucciola non è figlia unica, infatti i due panda giganti Yuan Yuan e Tuan Tuan hanno già una primogenita, anche lei femmina, nata nel 2013 e soprannominata Yuan Zai, che rappresenta il primo esemplare di panda gigante nato a Taiwan.

Yuan Yuan con l’allora piccola Yuan Zai

Da quell’anno lo zoo ha operato numerosi tentativi per far sì che la madre riuscisse a portare a termine una gravidanza, ma tutti si sono rivelati vani fino al febbraio del 2020.

Secondo le statistiche del WWF, nel mondo sono presenti solamente circa 1870 panda giganti che vivono in natura, ai quali si devono aggiungere i 400 tenuti in cattività. Questi numeri non sono abbastanza grandi da poter considerare la specie non a rischio, proprio per questo ogni nuova nascita è celebrata come un piccolo passo per la salvaguardia del futuro!

la cucciola, ancora senza nome, nata il 28 giugno

By CriWLP

L’ELEFANTESSA INCINTA MORTA IN KERALA

Ha raggiunto tutto il mondo in poco tempo la notizia che è ormai diventata emblema della sprezzante superbia e crudeltà umana: un’elefantessa di 15 anni è morta a causa di un ananas imbottito di petardi e con lei il cucciolo che portava in grembo.

A diffondere la notizia è stata la guardia forestale Mohan Krishnan, tra i primi soccorritori dell’animale, che ha raccontato la sua storia su Facebook.

“Si è allontanata dalla foresta per cercare del cibo. – scrive la guardia forestale sul social – “Si fidava di tutti. Quando l’ananas che ha mangiato è esploso, deve essere stata scioccata, non pensando a sé stessa ma al piccolo elefantino che avrebbe dovuto partorire tra qualche mese”.

Il pachiderma, dopo l’esplosione dei petardi che gli hanno lacerato la lingua e la bocca, non si è ribellato e non ha tentato in nessun modo di vendicarsi, bensì è fuggito terrorizzato e agonizzante.

“Non ha fatto del male a nessuno anche quando correva, in preda a un dolore atroce, nelle strade del villaggio.” racconta Mohan Krishnan.

L’elefantessa ha poi raggiunto il fiume Velliyar immergendosi e cercando nell’acqua un minimo sollievo dalle sue sofferenze.

Sul luogo sono intervenuti gli ufficiali forestali e i veterinari, che hanno provato a condurre l’esemplare fuori dal fiume aiutandosi con due elefanti in cattività, cercando di salvarlo. I tentativi sono purtroppo stati vani.

È morta così, con la testa semi immersa nelle acque del fiume, dopo ore e ore di agonia, la povera elefantessa che sarebbe dovuta diventare madre di un piccolo cucciolo fra circa 18 mesi.

Ancora non si sa con sicurezza se il frutto sia stato dato all’animale volontariamente o se quest’ultimo si sia imbattuto in una trappola concepita dai contadini del posto per evitare che i cinghiali diano l’assalto alle coltivazioni. Vi è però la certezza che questa è stata una tragedia che poteva assolutamente essere evitata.

“Non lasceremo nulla di intentato per investigare correttamente e catturare i colpevoli. – ha dichiarato il ministro indiano Prakash Javadekar – Dare da mangiare petardi e uccidere non rientra nella cultura indiana”.

L’elefantessa è poi stata cremata e riportata nella foresta così che possa riposare in pace con il suo cucciolo nella sua terra d’origine.

By CriWLP

E’ MORTO TAKAYA , IL FAMOSO LUPO SOLITARIO CANADESE

Takaya era un bellissimo esemplare maschio di Canis lupus columbianus, sottospecie del lupo grigio nordamericano che vive dall’isola di Vancouver all’Alaska.

Aveva 10 anni e aveva vissuto per ben otto anni da solo sulle coste di una piccola isola in Canada; il suo nome era ormai diventato famoso in tutto il territorio canadese grazie alle riprese di un documentario trasmesso dalla tv di Stato CBC e dalla BBC inglese con l’aiuto della fotografa naturalista Cheryl Alexander che aveva seguito passo per passo la storia di questo animale.

Stando a quanto dicono gli etologi, Takaya lasciò sin dall’età giovanile il branco e, attraversando lo spazio urbano di Victoria, capitale della provincia canadese della Columbia Britannica, giunse a nuoto sulle isole di Oak Bay percorrendo lo stretto molto pericoloso della larghezza di tre metri.

Cambiò, quindi, completamente abitudini e si adattò perfettamente al nuovo territorio, cibandosi di lontre, salmoni, foche e molluschi. Tuttavia cominciò ad adottare un comportamento alquanto strano: esso, infatti, ululava spesso, cosa insolita per i lupi solitari che, per difendersi, mantengono un basso profilo.

Ai suoi richiami rispose una femmina di lupo che si posizionava su una roccia sulla sponda opposta dello stretto ,attirandolo verso di sé. Fu così che Takaya abbandonò il suo territorio e, buttandosi nelle acque gelide, raggiunse l’altra riva e si imbatté in una piccola cittadina suscitando la paura nella gente.

Si decise, quindi, di trasferirlo in una zona selvaggia a 150 km dal centro abitato, ma qui Takaya incontrò nuovi pericoli: altri branchi di lupi, prede a lui sconosciute e umani poco amichevoli.

Finché arrivò per lui il fatidico giorno: un cacciatore, temendo che il lupo rappresentasse una minaccia per i suoi cani, gli sparò. Fu così che si pose fine alla leggenda di Takaya, l’amato lupo solitario.

il lupo Takaya

By SofiWLP

I KOALA SONO SEMPRE PIÙ IN PERICOLO

I koala, detti anche “piccolo orso”, sono mammiferi marsupiali unici rappresentanti viventi della famiglia dei marsupiali arrampicatori. Il loro habitat naturale coincide con le foreste di eucalipti del continente australiano, purtroppo spesso devastato dagli incendi. Questi piccoli animali sono, infatti, una delle specie maggiormente esposte al pericolo causato dagli estesi incendi indomabili che hanno distrutto interi ettari di foreste.

Alcune ricerche mostrano che, se non si riesce a trovare in tempo un rimedio definitivo contro la distruzione delle foreste, i koala potrebbero sparire dall’Australia orientale entro la seconda metà del secolo, il che vorrebbe dire che l’estinzione di questa specie è vicina, troppo vicina. Oggi in natura sopravvivono circa 200.000 koala, un numero abbastanza basso da far si che la specie sia classificata come “vulnerabile” e da far intuire che il loro futuro sarà tutt’altro che roseo.

Le popolazioni di koala si sono già estinte in grandi aree dell’Australia occidentale e meridionale, mentre negli stati del Queensland e del New South Wales (Australia orientale) ne sopravvivono ancora, rimanendo comunque in grande pericolo.

Per garantire la sopravvivenza della specie, alcuni koala sono stati trasferiti in delle isole per dare vita a nuove popolazioni ed evitare così la consanguineità che produce un basso livello di diversità genetica, aumentando la vulnerabilità delle popolazioni.  L’uso dei bulldozer per il disboscamento industriale e più in generale la distruzione delle foreste dove vivono, sono oggi le minacce principali, che provocano centinaia di vittime ogni anno tra questi marsupiali. 

A questo si aggiunge oggi il riscaldamento globale che sta rendendo la siccità e gli incendi più intensi e soprattutto più frequenti, proprio come successo nel 2019 fino all’inizio del 2020. Le fiamme sono, infatti, una drammatica minaccia per i koala, in quanto il fuoco non risparmia le fronde degli alberi, principale loro fonte di nutrimento e acqua.

Vi sono però specialisti e volontari che si impegnano tutti i giorni per cercare di dare un futuro migliore e più duraturo a questa specie e per non permetterne l’aumento delle probabilità di estinzione. I soccorritori che si stanno prendono cura dei koala feriti non li rilasceranno finché le loro ferite non saranno guarite e gli alberi delle foreste dove vivono non avranno sviluppato nuove foglie. Inoltre, stanno incoraggiando tantissimi volontari a lasciare vaschette d’acqua sotto gli alberi dove sono presenti i koala per aiutarli a reidratarsi.

volontario che soccorre un koala tra fiamme nella foresta

I volontari della struttura con sede a Port Macquarie, una cittadina a circa 250 chilometri da Sydney, hanno lavorato e stanno lottando ancora ora contro il tempo per andare a soccorrere i koala sopravvissuti alla furia delle fiamme.

Infatti, a differenza di altri animali, questi marsupiali non scappano dal fuoco, ma si arrampicano in cima agli alberi dove si raggomitolano aspettando che il pericolo passi. Al centro di recupero gli animali sono arrivati terrorizzati, disidratati, con le zampe ustionate e il pelo bruciato. Se le ustioni e la disidratazione possono essere curati, il problema rimane per gli artigli, fondamentali per la loro sopravvivenza garantita dall’arrampicarsi sugli alberi di eucalipto, di cui si nutrono.

Per quanto riguarda le foreste, il WWF ha, inoltre, incaricato degli esperti di stilare un “piano di conservazione dell’habitat dei Koala”, per definire le azioni per salvare e ripristinare l’ecosistema di questi marsupiali in difficoltà.

Si sta quindi cercando di fare tutto il possibile per aiutare questi animaletti dal muso simpatico e si spera di riuscire a donar loro un futuro migliore.

cucciolo di koala ustionato dalle fiamme in Australia e soccorso dai volontari
esemplare adulto di koala sano

By CriWLP